Molte persone che hanno avuto la dolorosa esperienza dell’attacco di panico ritengono erroneamente che quanto capitato loro sia qualcosa di straordinario ed inspiegabile. Al contrario, l’attacco di panico è un’esperienza piuttosto comune. Alcuni ricercatori hanno registrato che negli Stati Uniti più di ¼ della popolazione riporta di aver avuto almeno un attacco di panico nel corso della vita. Si stima inoltre che circa dal 3 al 5% ne abbia avuto uno nel corso dell’ultimo anno. In circa la metà dei casi questo episodio può evolvere in un vero e proprio disturbo, cosa che implica lo sviluppo di conseguenze associate (soprattutto la costante paura di avere altri attacchi e la tendenza ad evitare via via sempre più contesti e situazioni).

Durante un attacco di panico si assiste alla comparsa improvvisa di paura o disagio intensi che raggiunge il picco in pochi minuti, periodo durante il quale si verificano una serie di sintomi caratteristici, come ad es:
• Palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia;
• Sudorazione;
• Tremori (fini o grossi);
• Dispnea o sensazione di soffocamento o di mancanza d’aria;
• Dolore o fastidio al petto;
• Nausea o disturbi addominali;
• Sensazioni di vertigine, di instabilità, di «testa leggera» o di svenimento;
• Brividi o vampate di calore;
• Parestesie (sensazioni di torpore o formicolio);
• Derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (sentirsi per alcuni secondi come distaccati da se stessi);
• Paura di perdere il controllo o di «impazzire»;
• Paura di morire.

Non basta un singolo episodio di panico per determinare un vero e proprio disturbo. È possibile diagnosticare un Disturbo di panico quando si hanno (1) ricorrenti attacchi di panico; (2) la preoccupazione persistente di avere altri attacchi; (3) una significativa alterazione disadattiva del comportamento correlata agli attacchi (ad es. la necessità di evitare molte situazioni); (4) dei cambiamenti nel proprio comportamento e nelle proprie abitudini – derivato dal timore di avere altri attacchi – per la durata di almeno un mese.

Gli attacchi di panico possono presentarsi con alcune varianti, vi possono essere, ad es. attacchi di panico notturni, in cui il soggetto si sveglia di solito già con il battito cardiaco accelerato, spesso agitato e con una sensazione di mancanza d’aria; gli attacchi di panico situazionali o parzialmente dipendenti dalla situazione sono invece quegli episodi che capitano in concomitanza con determinate situazioni (ad es. nei centri commerciali o sul treno o in situazioni di “imbottigliamento”, come le code); vi possono essere poi attacchi definiti paucisintomatici, in cui si presentano solo sintomi meno intensi, oppure si assiste ad una sorta di escalation emotiva per qualche secondo, che poi sfuma velocemente; gli attacchi di panico possono anche presentarsi in gravidanza, talvolta anche nell’imminenza del parto; vi sono infine attacchi di panico indotti da situazioni traumatiche, che compaiono cioè in associazione con luoghi o situazioni che richiamano nel soggetto un evento traumatico (ad es. un luogo in cui ha avuto un incidente, la esposizione ad un forte rumore improvviso, lo stridìo di una frenata, ecc.). Gli attacchi che sopraggiungono all’improvviso sono detti non-segnalati (uncued), mentre quelli associati a specifiche situazioni sono detti segnalati (cued).

È molto importante sapere che il Disturbo di panico è oggi un problema che ha ottime probabilità di essere risolto efficacemente. La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) in particolare ha proprio nel trattamento del disturbo di panico il suo “cavallo di battaglia”. Vengono impiegati infatti dei trattamenti che sono talmente consolidati nella pratica clinica da essere dei veri e propri protocolli. Il paziente viene innanzitutto messo nelle condizioni di avere una conoscenza corretta ed approfondita del suo disturbo. Questo lo aiuta a capire che quei sintomi, seppur così intensi e spaventosi, hanno tuttavia un “perché” piuttosto noto, sia dal punto di vista psicologico che fisiologico. Non c’è nulla di magico o misterioso in quello che sta succedendo, ma qualcosa di molto più “sensato”, comune e comprensibile. La persona verrà quindi aiutata ad apprendere come gestire i sintomi, ad es. con tecniche di rilassamento, così da iniziare a ridurli, prendendo atto che questi non sono così incontrollabili come sembrano. Una metodica chiamata ristrutturazione cognitiva aiuterà inoltre il paziente a identificare e modificare quei pensieri che sono in grado di far aumentare la probabilità di avere un attacco. Il paziente infine sarà aiutato ad avere meno paura di sintomi ansiosi e situazioni ansiogene, imparando ad affrontare gli uni e le altre, attraverso esercizi di esposizione, metodiche che la ricerca scientifica ha identificato ormai da molti anni come quello in assoluto più efficaci per superare il disturbo.

Le tempistiche sono di solito piuttosto rapide, in particolare per quelle persone che hanno questi sintomi da poco tempo (ad es. qualche settimana o mese) e che non hanno altri disturbi in comorbidità. Le linee guida dell’American Psychological Association – la più grande associazione scientifica psicologica del mondo – indicano di norma 12-16 sessioni di trattamento, che corrispondono a circa 3-4 mesi di sedute settimanali. La durata può essere maggiore, come detto, con persone che hanno una lunga storia di disturbo (alcuni pazienti si rivolgono agli psicologi CBT dopo anni e anni o dopo aver seguito a lungo altri trattamenti inefficaci). In questi casi il trattamento tende ad essere più impegnativo, soprattutto perché la persona ha esteso il proprio malessere a molti contesti e situazioni (un aspetto che si chiama generalizzazione), ma tuttavia il risultato tende di solito ad essere raggiunto ugualmente, magari soltanto in tempi più lunghi.

Emilio Franceschina