Non è facile trovare le parole giuste per iniziare un percorso nuovo, ma necessariamente denso di rimandi rivolti a ciò che lo ha preceduto. Premetto che gli articoli che saranno via via pubblicati in questo sito – e che spero saranno ai più graditi – sono pensati per coloro che si avvicinano con interesse alla psicologia, agli studenti, ai pazienti, ai familiari che si chiedono, ad esempio, se quella data “cattiva abitudine” o quel “vizio” che presenta un loro congiunto possa essere in realtà, o meno, un disturbo.
Sono curioso di scoprire quanto lo scrivere sul questo mio spazio professionale possa essere gradevole, per me che scrivo e per chi ha voglia di leggere. Nella mia storia professionale ho scritto e pubblicato diversi articoli, capitoli di libri, libri, traduzioni, lavori specialistici anche di un certo rilievo – pur non essendo io propriamente un accademico –, ma tutti lavori la cui leggibilità è, nella maggior parte dei casi, alquanto ridotta. Dubito fortemente che un domani qualcuno dei miei figli possa provare interesse o piacere a leggere qualche mio scritto specialistico, tedioso e freddino, di fatto molto poco “comunicativo”. Esiste inoltre la forte probabilità che uno dei suddetti figli, una volta terminata faticosamente una tale lettura, si rivolga a me con una espressione del tipo: “…e quindi?”.
Fortunatamente non devo più fare carriera, non ho più l’onere di fare punteggio accumulando lavori scientifici che quasi nessuno leggerà, scritti ormai ridotti a mere stringhe di citazioni bibliografiche, quasi fossero codici a barre di un prodotto commerciale. Preferisco rivolgere la mia attenzione ad un modo diverso di praticare e di raccontare la psicologia.
Il fascino della psicologia
Questa materia affascinante può anche venir facilmente trasformata in un qualcosa di criptico, gratuitamente cervellotico e assolutamente distante dalla logica scientifica. Ho l’impressione che alcuni colleghi intendano talvolta più stupire l’interlocutore con contenuti ad effetto anziché fornirgli strumenti di conoscenza fondati sulla metodologia scientifica e che sotto sotto traggano un sottile piacere dal cogliere sul volto altrui dei chiari segnali di non-comprensione, secondo una logica per cui tanto più un contenuto è poco comprensibile, tanto più è vero ed autorevole, ed è appannaggio di pochi eletti (naturalmente iperdotati intellettivamente). Le tante tematiche della psicologia fondata sulla ricerca scientifica possono divenire invece argomenti molto gradevoli ed interessanti e possono venir illustrati in modo chiaro e comprensibile a tutti coloro che vogliono avvicinarsi a queste tematiche con curiosità, affascinati dai misteri della mente e del funzionamento del cervello. Si può fare una buona e seria divulgazione scientifica senza necessariamente abbassare il livello di qualità a quello dei settimanali di pettegolezzi da sfogliare sotto l’ombrellone.
La psicologia clinica, in particolare, è ciò di cui mi voglio occupare. È il mio ambito professionale, la mia materia di insegnamento da ormai vent’anni all’Università, il mio interesse principale da sempre. Ho avuto la fortuna di studiare in una grande Università – quella di Padova, dove tuttora ho un contratto di insegnamento – in una delle due sole sedi italiane dove “ai miei tempi” (come si usa dire dopo i cinquanta) ci si poteva laureare in psicologia (l’altra sede era Roma). Psicologia era un corso di laurea apparentemente un po’ “sgarrupato” – come si dice – ma solo per il fatto che le aule delle lezioni al tempo erano sparpagliate per diversi edifici cittadini, spesso vecchi e malandati. Ma la sostanza della formazione era invece, già allora, molto diversa. In quegli anni eroici si seguivano le lezioni tenute da docenti di grande spessore, professori che per insegnare utilizzavano a malapena la lavagna luminosa con i lucidi. Ascoltare molte di quelle lezioni era per me letteralmente ipnotico. Noi studenti seguivamo attentamente un docente per quasi due ore, nonostante parlasse senza aiuti multimediali, prendendo avidamente appunti. Pensate che ancora oggi mi accorgo di citare alcune frasi, esempi o metafore, sentite a lezione nei lontani anni ’80.
La conoscenza della psicologia era per noi studenti un piacere. Si studiava senza sforzo, perché si era curiosi ed avidi di sapere. Spesso oggi ritrovo quel piacere quando svolgo le supervisioni con gli specializzandi in psicoterapia o con alcuni pazienti, e mi accorgo che ciò accade perché in questi casi si tende a cambiare registro e spesso anche lessico, rispetto al linguaggio specialistico delle lezioni accademiche o dei congressi o delle pubblicazioni scientifiche.
Creare un buon clima terapeutico
Posso aggiungere che l’attività clinica in sé tende anche ad essere più efficace quando si svolge in un clima positivo e gradevole. Costruire un tale clima spetta, naturalmente, quasi esclusivamente al terapeuta e molte variabili possono contribuire a crearlo. Tra queste, ne vorrei ricordare due. La prima è quella rappresentata dal riuscire a condurre colloqui clinici capaci, almeno in parte, di saper dissimulare il loro essere terapia. Il clima si alleggerisce quando si riesce a non medicalizzare la sofferenza emotiva delle persone, trasmettendo la chiara idea che, nel contesto psicoterapeutico, più che curare malattie si deve aiutare una persona a risolvere problemi ed a cambiare alcuni aspetti del proprio stile di vita. L’ansia o la paura di qualcosa, ad esempio possono essere concepiti non esclusivamente come disturbi o sintomi da eliminare (anche farmacologicamente), ma anche e soprattutto come criticità da imparare ad affrontare e gestire. La parola chiave, in molti casi, non è guarire, ma piuttosto cambiare. Cambiare può voler dire rivedere la lista delle priorità della propria vita, sviluppare delle più adeguate abilità interpersonali, imparare ad affrontare meglio situazioni ansiogene, riuscire a vedere le cose in modo più realistico, trovare la giusta motivazione per il cambiamento, tutte cose che (ahimè) non si trovano dentro un farmaco. La seconda condizione è quella di riuscire a stabilire una buona relazione terapeutica, una vera e propria alleanza. Alleanza significa qualcosa che va ben oltre il concetto più noto di compliance, che implica che il paziente debba semplicemente seguire le prescrizioni e perciò più adatto ai trattamenti farmacologici. I concetti di aderenza e alleanza terapeutica sono invece più tipici del rapporto psicologo-paziente, in sé più articolato e dialettico, in cui il paziente deve sentirsi accolto, ascoltato e compreso, totalmente libero di esprimere difficoltà, malesseri e sentimenti inconfessabili, in un clima non-giudicante, in un clima di collaborazione e con “spirito di squadra”. Il percorso terapeutico viene pertanto concordato e condiviso tra paziente e terapeuta, solo così si possono raggiungere degli obiettivi.
La terapia cognitivo comportamentale
E qui veniamo alla Terapia Cognitivo Comportamentale, sintetizzata nell’acronimo CBT (ossia Cognitive Behavioral Therapy), che è il mio modo di fare psicoterapia. Ritengo che molti interventi psicologici, per affrontare problemi e disturbi, siano troppo concentrati sul capire e sul conoscere, mentre dovrebbero indirizzarsi principalmente al risolvere. Si dirà che per risolvere bisogna prima capire e conoscere. Verissimo, ma aggiungerei che è necessario conoscere/capire solo lo stretto necessario (e che possibilmente sia anche certo). Di fronte alla diagnosi di alcuni disturbi – come ad es. quelli ansiosi o quelli ossessivo-compulsivi – per allontanare la persona dal baratro in cui sta precipitando, come detto, bisogna anche fare presto. Certi disturbi si estendono assai velocemente (è un fenomeno chiamato generalizzazione) e rischiano velocemente di cronicizzarsi. Bisogna pertanto andare dritti al nocciolo del problema, alle sue manifestazioni visibili, al come è fatto un disturbo, al significato che il paziente attribuisce ai sintomi, non a quale ne possa essere la (ipotetica e mai verificabile) causa profonda. Se agendo in un modo così diretto e pragmatico, la sintomatologia si riduce, allora vuol dire che il terapeuta ha agito su dei fattori causali, di tipo funzionale, ovvero sulle cause note, vicine e certe. È questa una delle particolarità della CBT, un insieme di metodiche in cui il terapeuta si chiede fin da subito se vi siano metodi o strategie per dare immediato aiuto alla persona, in maniera concreta, pensata, visibile, documentabile e, possibilmente, rapida.
Avrò modo progressivamente di ampliare questi concetti, che non sono solo elementi tecnico-metodologici, ma rappresentano anche principi etici e deontologici, mirati al riconoscimento del diritto del paziente a ricevere, sempre e comunque, trattamenti efficienti e di dimostrata efficacia. Spero di poter fornire contributi interessanti, che possano divenire spunti di riflessione ed interesse e che riescano a trasmettervi il piacere di conoscere la psicologia, in particolare quella cognitivo comportamentale, ma non solo. Buona lettura.
Emilio Franceschina