Il termine “ansia” è oggi estremamente noto e diffuso in molti contesti e situazioni, sia nel suo significato più generale e comune – ossia ad es. la percezione soggettiva di sentirsi tesi o fisicamente agitati e preoccupati – sia nei suoi vari significati associati a contesti specialistici – come ad es. l’idea di una reazione dei neurotrasmettitori o dell’aumento dell’attivazione dell’organismo. Tuttavia è piuttosto diffusa l’idea, specialmente tra i non-specialisti, che l’ansia sia comunque non solo un elemento negativo della nostra esistenza, ma che rappresenti in sé un fenomeno patologico, disfunzionale, una “malattia”.

Anche molti pazienti ne sono convinti e parlano spesso della loro ansia negli stessi termini in cui potrebbero parlare di una infezione o di una colica renale. Restano pertanto un poco sorpresi quando qualcuno presenta loro un modo differente di intendere questa comune reazione emotiva. Intendiamoci bene: l’ansia non è affatto qualcosa di simpatico, piacevole o auspicabile. Tuttavia la stessa cosa la potremmo dire del mal di denti o del mal di pancia: ma cosa ne sarebbe di noi se non avvertissimo i segnali del dolore? Probabilmente non saremmo avvisati per tempo che sta succedendo qualcosa di potenzialmente dannoso per la nostra salute o per la nostra sopravvivenza, come un’infezione o una intolleranza. Pensate se noi esseri umani non avessimo, come del resto gli altri animali, i “sensori” del dolore. Probabilmente, se mai una specie simile minimamente evoluta dovesse essere comparsa sulla terra, si sarebbe velocemente estinta. Il dolore ci impedisce di “andare oltre” nell’eseguire qualcosa che ci danneggia, ci avverte che qualcosa non sta funzionando nel nostro corpo, ci costringe a fermarci prima che sia troppo tardi – qualcuno ricorderà la tragica morte di Tom Simpson, al Tour de France negli anni ’60, il cui cuore letteralmente scoppiò perché le amfetamine che il ciclista aveva assunto gli avevano impedivano di sentire in segnali del caldo e della fatica ed il dolore dati dall’eccessivo sforzo fisico.

Analogamente, potremmo osservare che l’ansia è quella reazione emotiva che compare quando la persona avverte la presenza di una potenziale minaccia, ancor prima che essa si sia palesata nel proprio ambiente. Una delle definizioni più usate, infatti, per descrivere questo fenomeno è quella dell’ansia come aspettativa di un pericolo. Con il termine aspettativa, intendiamo quindi che il soggetto non si trova in quel momento esattamente di fronte al pericolo (quella sarebbe quella risposta emotiva che definiamo paura). La persona cioè può aver percepito la presenza di qualche segnale (che può essere interno o esterno) che ha attivato in una frazione di secondo un insieme di risposte dell’organismo, poiché a quel segnale è stato attribuito il significato di minaccia (reale o potenziale). Questo segnale può essere interno o esterno. Un segnale esterno è ad es. un fruscio nella boscaglia, un rumore alle nostre spalle, ecc. tutti indizi della presenza di un potenziale pericolo. Il segnale d’allarme, in sostanza, scatta ancora prima di essere certi che vi sia un effettivo pericolo, si limita a mettere sull’avviso, per aiutarci a preparare quanto prima eventuali contromisure, a sviluppare un eventuale piano di difesa. I segnali interni possono invece essere, innanzitutto, i segnali enterocettivi, come ad es. il dolore, il cuore che batte veloce, la sensazione di mancanza d’aria. Sono spesso questi i segnali di pericolo che avverte una persona che ha avuto la sgradevole esperienza di un attacco di panico.

Quanto ai segnali interni, tuttavia gli esseri umani sono assai più ben dotati. Infatti noi siamo essere pensanti, siamo dotati di linguaggio, attribuiamo significati a ciò che ci succede, siamo in grado di ripensare a quello che ci è capitato in passato e di anticipare quello che ci potrebbe capitare in futuro. Questo è ciò che principalmente distingue i termini ansia e paura. L’ansia è la reazione psicofisiologica ad un potenziale pericolo, mentre la paura è la reazione al pericolo. L’organismo in sostanza fa pressoché le stesse cose (in questo senso, le reazioni di ansia e paura sono sovrapponibili), ma nel caso della paura il soggetto si trova di fronte alla fonte concreta e visibile del pericolo (ad esempio, per i nostri antenati, la vista di un orso), mentre quando il nostro progenitore, dentro la caverna pensava “…e se domani che vado a caccia di lepri incontro un orso?”, in quel caso era l’ansia che non lo faceva dormire.

Questo importante aspetto proprio della nostra capacità di pensare e di attribuire significati e giudizi alle cose della vita, che chiamiamo cognitivo, è di grande rilevanza per la nostra vita quotidiana. Molto spesso il nostro malessere non è dato da quello che stiamo concretamente facendo – mangiando, parlando, camminando, guidando l’auto, ecc. – ma principalmente dal semplice fatto che stiamo pensando. Il pericolo, la minaccia, la scocciatura, la potenziale brutta figura, ecc. non sono lì in quel momento, ma sono cose che potrebbero capitarci (forse) nel futuro, domani o fra mesi e mesi, eppure ci stiamo preoccupando e stiamo emotivamente male già adesso. In quei momenti, il pensiero ansiogeno è divenuto analogo alla realtà sensibile, alla vita vera. In questo caso pertanto scopriamo che l’ansia può avere da un lato una funzione adattiva senza la quale saremmo estinti (darci la possibilità di “anticipare” i pericoli), dall’altro può renderci la vita sgradevole se il pensiero del pericolo diventa una presenza costante della nostra quotidianità, con una frequente presenza di intrusioni (cioè di cose che entrano di continuo in testa alle quali non vorremmo pensare) e poi di rimuginazioni (cioè il fatto di pensare e ripensare alle cose che temiamo, sperando di riuscire a trovare un modo per rassicurarci).

È quindi molto importante riuscire a distinguere l’ansia dai disturbi d’ansia. L’ansia è un’emozione che caratterizza tutti gli esseri umani e che ha una funzione in sé adattiva. Ci permette anche di stare in guardia, di essere maggiormente reattivi (pensiamo a quanto più attenti e concentrati possiamo essere quando siamo di fronte ad una prova importante). Usiamo il termine eustress, per definire queste risposte emotive “buona”, quelle che ci aiutano a vincere la finalissima. Esistono però anche quelle “cattive”, che possiamo associare al termine distress. In questo caso, quando l’ansia è troppo intensa, non ci ricordiamo più quello che abbiamo studiato, il nostro agire è meno organizzato e razionale, la prestazione peggiore.

Non dobbiamo pertanto considerarci degli ansiosi solo perché talvolta proviamo ansia. Guai se non la provassimo (potremmo avere addirittura qualche altra patologia ben peggiore). Dobbiamo però essere consapevoli se ha cominciato a prendere piede l’altra faccia della medaglia, l’ansia che anziché proteggerci non ci lascia vivere sereni. Quando l’ansia prende troppo spazio nella nostra vita, comincia a divenire una presenza costante, ci invade sotto forma di preoccupazioni, di rimuginii, di sintomi di agitazione e di tensione e, soprattutto di evitamenti (ci sono cioè delle cose che non facciamo più, luoghi o situazioni che abbiamo paura di affrontare), potremmo aver sviluppato un disturbo d’ansia. Ce ne sono diversi, che gli psicologi clinici possono molto velocemente diagnosticare, attraverso il colloquio e impiegando qualche questionario. Alcuni di questi disturbi non pongono dubbi alla persona, perché i sintomi sono talmente intensi da far comprendere immediatamente che sta succedendo qualcosa che non va. è questo il caso dell’attacco di panico, una manifestazione ansiosa molto intensa, e piuttosto comune, che non di rado spinge le persone a recarsi al pronto soccorso, per accertarsi che quello che sta capitando non sia un infarto o un ictus.

Diciamo che in tutto questo c’è anche un risvolto che rende meno preoccupante la situazione, e cioè il fatto che i disturbi ansiosi sono molto ben trattati dagli psicologi cognitivo-comportamentali. Potremmo anzi dire che sono “il cavallo di battaglia” di ogni terapeuta CBT. In particolare se la sintomatologia acuta è relativamente recente, le metodiche CBT prevedono trattamenti altamente efficaci e piuttosto brevi (anche solo una decina di sedute). Anche gli ansiolitici sono naturalmente in grado di ridurre efficacemente la sintomatologia ansiosa, ma hanno un maggior tasso di ricadute, per il semplice fatto che non insegnano niente al paziente – ad es. come affrontare ciò di cui ha paura. La terapia cognitivo comportamentale invece è una psicoterapia con forte taglio educativo, che aiuta ed incoraggia fin da subito la persona ad affrontare i sintomi e le situazioni che teme, come avrò modo di descrivere in altri articoli che seguiranno.

Emilio Franceschina